La Commenda

Le Guide

Carlo Giuseppe Ratti

La descrizione della Commenda di S. Giovanni di Prè che fa Ratti, nella sua Guida Instruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura ed architettura (Genova,1780, pp. 221-222), si limita a pochi fatti essenziali: innanzitutto ricorda l’anno presunto di fondazione, il 1098, allorquando vi vennero depositate le ceneri di S. Giovanni Battista «recate dalle parti orientali in Genova» e l’appartenenza della Stessa alla «Religione di Malta». A proposito delle opere d’arte ivi contenute, cita soltanto un quadro raffigurante S. Ugo «di cui in questa chiesa si venera il corpo dipinto dall’Abbate Ferrari». Riconosce la sovrapposizione di due impianti e ricorda l’altra versione di S. Ugo del Magnasco «anzi sotto di questa è un’altra piccola chiesa dedicata a S. Ugo medesimo, la cui tavola – opera valente di Stefano Magnasco – lo rappresenta in atto di fare miracolosamente scaturire l’acqua da un sasso […] ed è questo il luogo dove l’istesso Santo terminò il mortale suo pellegrinaggio». Fa poi un cenno sull’oratorio di S. Giovanni, contiguo alla chiesa, di cui cita un dipinto, sempre di Magnasco, raffigurante la Madonna del Rosario.

 

Anonimo Genovese

Così l’Anonimo Genovese, nella sua Descrizione della Città di Genova (1818), inizia il discorso sulla Commenda di Pré: «Un po’ più sopra nella salita all’Acquaverde è la chiesa parrocchiale di questo nome, piccola, rotonda, con quattro belli altarini di marmo aventi ciascuno due colonne di marmo Serravezza sopra piedistalli di marmo bianco con rilievi d’altro a bei colori egualmente che alla mense. A quello del SS.o Rosario, il secondo a sinistra entrando, è una statua della B. Vergine col bambino in legno indorato. A un altro in faccia è un quadro di S. Ugo dell’abate Ferrari» .Continua la narrazione soffermandosi sul dipinto che raffigura S. Giovanni: «L’altar maggiore è pure in bei marmi e dietro sul muro ha la tavola di S. Giovanni Evangelista titolare della chiesa, in cui vedesi dell’ultima età sostenuto dai suoi discepoli, quadro di buona composizione». Nella descrizione dell’imponente monumento, tipico del romanico genovese, l’autore si limita a riferire soltanto la notizia sullo sbarco delle ceneri del Battista (relativa alla preesistente chiesa del S. Sepolcro, 1098). Mostra,così, d'ignorare il contenuto dell’iscrizione sul campanile (che riporta la data, 1108) da lui ampiamente trattata: «nella quale tuttoché io non m’attendi a decifrare gli strani caratteri latino-barbari, e quanto può dirsi bizzarramente accorciati e disposti, s’accenna nondimeno con tutta evidenza ai primordj d’un’opera spettante alla nuova Regola de’ ministranti e intrapresa nell’anno suddetto. Parve a taluni di leggervi e rileggervi per monogramma il nome d’un Guglielmo; e d’un Guglielmo per l’appunto tenevan memoria certi versi leonini affissi nella Commenda, recandogli a merito d’aver fondata la chiesa e riparate le stanze dello Spedale e dell’Ordine. L’iscrizione dice: ACTOR WILLELMO DOMINI DOMUS EX HIC / PRO QUO QUESO PATER QUI TRANSIS DIC/ MCLXXX TEMPORE WILLELMI INCOATUM EST:Io tempio del Signore, sorsi qui a cura di Guglielmo per il quale di grazia o tu che passi recita un pater / Fui comunicato nel 1180 al tempo di Guglielmo». Secondo Poleggi, il capovolgimento della direzione della chiesa (avvenuto nel 1731), con la sostituzione della conca absidale all’ingresso e che nascose una campata ed un decoro di stucchi (eliminati nel 1870), potrebbe aver dato, ad un occhio inesperto, l’impressione che la chiesa fosse piccola e rotonda.

 

Federico Alizeri

L’Alizeri, nella sua Guida illustrativa del cittadino e del forastiero per la città di Genova e sue adiacenze (1874, II, p. 194), scrive: «Più malagevole ci riuscirà il descriverne le parti, travisate ne’ tempi moderni per guisa che le sconce aggiunte, i mutamenti, le rovine lasciano a mala pena investigare a più acuti intelletti le membra antiche. Sarebbe opera di vero cittadino e l’arista il deliberare in istampa, sceverando l’antica fabbrica di que’ bastardumi spiacevoli oziando ad occhio volgare, che l’avarizia e l’ignoranza cospirarono a radunare sovra un monumento di cotal prezzo e renderlo almeno in immagine, intatto e originale alla patria». Prima di passare alla descrizione del monumento, attraverso quanto dicono le Guide, ritengo utile individuare la zona in cui esso venne edificato, ai fini di una più agevole comprensione delle modifiche che subì nel corso del tempo, delle quali accennava poc’anzi Alizeri. In tempi remoti la zona aveva nome di “caput arenae” : situata alle falde di un poggio, era una graziosa insenatura, adatta allo sbarco delle navi. Nei pressi c’era un fossato, che in seguito prese il nome di Sant’ Ugo. Ivi scorreva un torrente che aveva le sue sorgenti tra i colli di S. Barnaba e Oregina. Della zona l’Alizeri scrive «era forse quel luogo sovra tutti opportuno ai disbarchi: e tal parve anche ai consoli della Repubblica i quali nel 1162, comperate le case che dall’altro fossato di Bocca di Bo popolavano il lido fino ai termini del S. Sepolcro, vi costrussero acconcio scalo alle navi, e sul fiumicello predetto gittarono un ponte per far tragitto sui fianchi alla chiesa». La sistemazione di questo scalo denota la rilevanza che allora doveva avere detta chiesa, sul cui sedime venne in seguito costruito l’attuale edificio di S. Giovanni di Pré. Non essendoci, nel Medioevo, una chiesa particolarmente importante con annesso un ospizio per i pellegrini, che a quei tempi si recavano numerosi in Terra Santa, ne venne edificato uno, denominato “zenodocchio”, presso quella del S. Sepolcro. Non è noto l’anno esatto d’apertura di tale ospizio, ma si sa per certo che nel 1098 la chiesa del S. Sepolcro di Pré era già stata costruita poiché in essa i genovesi, reduci dalla Prima Crociata, depositarono le ceneri di S. Giovanni Battista. Scrive in proposito l’Alizeri: «questa spiaggia e in siffatto tempio approdarono nel 1098 e alcun tempo rimasero le Sante ceneri del Precursore, recate di Licia e poi tosto traslate alla Cattedrale alla maggior sicurezza ed onore». Dopo i canonici del S. Sepolcro e quelli dell’ordine fiorente in Gerusalemme, citati dall’autore come possibili amministratori della chiesa e dell’ospedale, nel 1162 subentrarono, nella direzione di entrambe le strutture, i cavalieri "ospitalieri" «che intitolavansi anch’essi dalla Santa Città (Gerusalemme)». Essi provvidero alla ristrutturazione del sacro edificio ed alla costruzione della Commenda, da cui la piazza antistante prende il nome. Nel XVII secolo, a detta dell’Alizeri, fra’ Girolamo Basaddone operò la strana inversione della chiesa aprendo una porta deturpatrice al centro dell’antica abside e trasportando gli altari presso la primitiva entrata, camuffata con una nuova ed improvvisata abside. Dopo questa modifica, lo stesso frate fece decorare con stucchi, mediante un rivestimento interno, tutta la vecchia struttura. Nel 1870, grazie «all’attual parroco» (don Battista Vassallo) furono rimosse le intonacature e gli stucchi e parte della chiesa fu riportata all’assetto primitivo. Ma, dice l’Alizeri, il tempio ebbe notevoli restauri già nel XIV secolo, dopo il soggiorno di Papa Urbano V nel 1367, che da Avignone era diretto a Roma. A neppure vent'anni di distanza, nel 1385, un altro pontefice, ospite a Genova, veniva ad albergare tra le storiche mura della Commenda, segnando questa volta di un’impronta sanguinosa le superbe architetture della pacifica dimora. Urbano VI, il nome del Pontefice, temendo che alcuni cardinali congiurassero contro la sua vita, «condannava a morte cinque de’ Cardinali che lo seguirono da Nocera». All’interno della chiesa sono custodite alcune opere pittoriche provenienti da oratori demoliti (ad esempio: la Casaccia di S. Giovanni e la Consorzia dei SS. Giacomo e Leonardo), tra queste l’Alizeri ricorda: il Miracoolo di S. Lorenzo di Simone Barbino. «Di proprio ha la chiesa i seguenti quadri: La pala dell’altar maggiore con S. Giovanni che ammaestra i discepoli » che, secondo Alizeri, ricorda il Cambiaso, «accresciuta più tardi d’un coro d’angel dall’abate De Ferrari. Di costui mano è il S. Ugo che trae acqua da una rupe, sull’altare secondo a man dritta; e sul primo mi sa del Ratti un PresepioFra gli arredi che guarda il Sacrario è degno che si vegga un Ostensorio d’argento dorato, composto ad urnetta o custodia sul fare antico ed ornato a figure di tutto rilievo» di cui Alizeri, dopo aver avanzato alcune ipotesi, resta incerto sulla paternità e aggiunge «diversi affetti ci muovon l’animo al dipartirci da questi luoghi; quinci la riverenza alle antiche memorie, quindi le basse sorti che fanno del venerando edifizio un miscuglio d’anguste botteghe e di privati abituri. Indi più pronta e più viva la compiacenza che vien dalla chiesa; alla quale le novelle fattezze niente men restituiscono, a sol mirarla, di quella dignità ch’ella tiene dalla sue origini e dalle rimembranze de’ patrj fasti»

 

I Viaggiatori


Gustave Flaubert

Dopo l'ultima giornata trascorsa come turista per la città di Genova, Flaubert, con la sorella e il cognato, rientra in albergo, alla Commenda: Albergo della Croce di Malta. «Balcone di marmo, secrétaire tra le due finestre. Prima passeggiata nel porto. La seconda il mattino della mia partenza. Come ero triste lasciando Genova, soprattutto per avere valicato le montagne che la dominano e durante i due giorni passati in quello stupido paese che è la Lombardia!»

 

Bibliografia


Alizeri F., Guida illustrativa del cittadino e del forastiero per la città di Genova e sue adiacenze, Genova, Dambolino, 1875, rist. anastatica Forni, vol.II, p. 345-351.

Poleggi E. e F. (a cura di), Descrizione della Citta di Genova da un anonimo genovese del 1818, Genova.

Ratti C. G., Instruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura ed architettura, Genova, 1780, pp. 221-222

Ultimo aggiornamento 26 Ottobre 2022